Enrico Florentino
8 Luglio 2019

#041 – Tra bilancio e consapevolezza – intervista a Vincenzo Renne

Parliamo di bilancio e di consapevolezza legata a questo tema insieme a Vincenzo Renne.

Scopri gli argomenti dell'episodio:
Conoscere il bilancio (6:30)
La pianificazione (19:00)
Le collaborazioni (42:40)
Il libro (55:30)

Ciao e grazie per aver deciso quest’oggi di stare in mia compagnia ascoltando la puntata numero 41 dell’IMPRENDIPROMOTORE PODCAST. Io sono Enrico Florentino e voglio aiutarti a migliorare la tua impresa di consulenza finanziaria.

Prima di cominciare questo episodio, prenditi un momento per iscriverti a questo podcast e, se ti va, lascia una recensione.

Il bilancio, argomento considerato da molti ostico per la sua non immediata comprensione, ma oggi non è pensabile immaginare un consulente finanziario che non sia in grado di leggere un bilancio, non ne conosca le dinamiche e che consideri questo argomento come una sorta di argomento tabù come un argomento da conoscere ma da non conoscere approfonditamente.

In realtà, la lettura del bilancio consente al consulente finanziario di potersi relazionare con una maggiore consapevolezza sia con sé stesso, sia con la propria impresa di consulenza finanziaria, sia con gli imprenditori e soprattutto consente anche di conferire quella giusta autorevolezza e credibilità agli occhi di altri clienti che in questo caso fanno gli imprenditori e con questo tema e con questa materia hanno a che fare quotidianamente.

A parlare di bilancio e di consapevolezza legata a questo ho voluto oggi qui con me Vincenzo Renne.

Vincenzo è commercialista e formatore nelle tematiche di pianificazione consapevole del passaggio successorio e fiscalità della finanza specialmente per quanto concerne l’ambito corporate e private, per ciò che concerne l’ambito domestico e internazionale e per ciò che riguarda tutta la parte attiva e passiva in termini di consulenza all’impresa.

È ideatore, formatore, implementatore di CPF ovvero consapevolezza, patrimonio e famiglia e di IFB (Italian family business). L’approccio CPF che è di sua ideazione accompagna il consulente finanziario e il suo cliente imprenditore in un percorso che è anche dedicato all’implementazione di tutte quelle abitudini che una volta acquisite, abitudini corrette ovviamente, non possono far altro che perseguire un concetto fondamentale per chi fa impresa che è appunto quello dell’efficacia.

Efficacia che va intesa sia in termini individuali sia in termini relazionali, sia in termini familiari, sia in termini patrimoniali ed imprenditoriali, nonché all’ottimizzazione del passaggio successorio dell’intero patrimonio e del passaggio generazionale in azienda.

È autore di un libro molto noto che è intitolato: “Spunti(ni) di consapevolezza imprenditoriale”, edito da Edizioni il vento antico.

Conoscere il bilancio (6:30)

Florentino: Perché è importante che un consulente finanziario debba conoscere il bilancio: sia il bilancio di un’impresa del proprio cliente, sia il bilancio di un cliente potenziale ma soprattutto anche il bilancio della propria impresa di consulenza finanziaria?

Renne: È lo strumento che ci può permettere di poter valutare come vanno le attività gestionali. In ambito finanziario il consulente finanziario ha un must che è quello di trovare sempre nuovi clienti, tendenzialmente trovare nuovi clienti che hanno più masse a disposizione pro capite.

Fondamentalmente queste tipologie di clienti sono due: il grande dirigente di multinazionale o l’imprenditore. Dobbiamo saper abbracciare la dimensione impresa.

Per poterlo fare abbiamo la necessità di poter immaginare di leggere in modo un po’ più approfondito quelli che sono i numeri di bilancio. Per due aspetti: il primo per poter selezionare prospect da andare a trovare perché magari hanno l’impresa con più marginalità, più fatturato. In secondo luogo perché andando a dialogare con il prospect o dialogando con il nostro cliente storico, riuscire a fargli capire che alcuni stereotipi di gestione della propria impresa rischiano di diventare disfunzionali, ci potrebbe creare quel valore aggiunto o per portarci a casa il cliente o per poter fidelizzare ancora di più la famiglia imprenditoriale stessa.

Tutte le volte che si tratta di società di capitali c’è l’obbligo di deposito del bilancio e quindi abbiamo dei siti dove andare preventivamente a scaricarci questi bilanci perché possiamo fare riferimento alla camera di commercio, a Cerver, ad un’applicazione che è S-peek, che ci consente a costi limitati circa 20 euro per poter scaricare il bilancio della singola annualità, oppure possiamo fare riferimento a titolo gratuito alle ricerche universitarie del territorio, piuttosto che ai report e alle analisi che vengono diffusi in modo gratuito dalle big Four, quindi KPMG, Price Waterhouse Cooper, Deloitte, Ernst&Young e via discorrendo, piuttosto che i quaderni Consob o Banca d’italia, piuttosto che le ricerche di Mediobanca o le grandi banche estere come ad esempio Credit Suisse.

Possiamo immaginare di riuscire a dialogare con il nostro cliente su tematiche a lui molto care.

Tendenzialmente il vostro cliente imprenditore è immerso quotidianamente nella sua impresa che sente tanto cara a lui e difficilmente ha lo stesso approccio con la gestione finanziaria cui rischia di delegare esclusivamente a voi.

Riuscire a fargli capire che gli potete essere di supporto anche nella dimensione impresa e quindi poter accompagnarlo nella gestione consapevole a 360° del suo patrimonio sicuramente vi dà una fidelizzazione enorme.

Florentino: Perché è importante per il consulente finanziario avere sotto controllo il proprio bilancio?

Renne: Innanzitutto dobbiamo sfatare un mito sia per il consulente finanziario che per l’imprenditore: il bilancio non è quel documento da cui si parte per pagare le imposte. Il bilancio è lo strumento fondamentale per la gestione delle nostre attività. Non è altro che la rappresentazione contabile di come ci siamo gestiti.

Per il consulente finanziario è bene sapere appunto che non c’è un’obbligatorietà, c’è la possibilità di tenere una contabilità di natura fiscale, quindi oggi con la metodologia forfettaria non esiste neanche il bilancino.

Con la contabilità semplificata abbiamo l’evidenza solo delle movimentazioni economiche.

Quando invece parliamo di contabilità ordinaria abbiamo il monitoraggio anche dell’impatto patrimoniale e finanziario. Ovviamente dalla forfettaria, alla semplificata, all’ordinaria abbiamo meno incombenze e meno costi. La forfettaria ci obbliga a tenere da parte solo le fatture.

Florentino: Ricordiamo i 4 scaglioni così i nostri ascoltatori sono in grado di stimare ex-ante sia il loro giro d’affari, quindi anche il tipo di contabilità e a questo punto anche nel momento in cui si relazionassero con degli imprenditori di conoscere le differenze.

Renne: Diciamo che i forfettari sono al di sotto dei 65000€ di fatturato. Per i semplificati abbiamo due soglie, quindi se superiamo i 65000 o anche al di sotto se optiamo possiamo andare in semplificato qualora non superiamo se siamo un industriale i 700.000€ di fatturato, se siamo una società di erogazione di servizi i 400.000€. Quindi i consulenti finanziari sopra i 65.000 e sotto i 400.000 è naturalmente in un regime semplificato.

Se siamo società di capitali e superiamo i 400.000€ o i 700.000€ detti prima abbiamo l’obbligo della tenuta della contabilità ordinaria.

Come società di capitali abbiamo l’obbligo del registro delle imprese che è tenuto presso la camera di commercio.

Se non siamo società di capitali ma abbiamo superato quella soglia, abbiamo l’obbligo comunque della contabilità ordinaria.

L’invito che faccio è che la contabilità ordinaria è volontariamente opzionabile da parte di chiunque, costa di più è vero ma ho nettamente una maggiore capacità di analisi del mio modo di gestirmi.

Florentino: Che poi è di fondamentale importanza perché avere tutto sotto controllo, avere i conti a posto è la cosa principale che dovrebbe avere appunto un imprenditore sempre in mente.

Ti sarà capitato tantissime volte di imprenditori che lavorano, lavorano, lavorano ma quando vanno poi a tirare la linea alla fine dell’anno si ritrovano praticamente nulla, perché erano convinti di aver fatto chissà che cosa, in realtà avevano puntato moltissimo sul fatturato ma le imprese la grande battaglia che fanno è sulla marginalità.

Renne: Personalmente ho identificato 5 paradigmi imprenditoriali. Il primo è quello in cui si trovano schiavi almeno il 75% degli imprenditori è il paradigma del fare.

Come correttamente hai individuato tu, ci rendono schiavi le ore lavoro, si passa in impresa dalle 10 alle 12 ore quasi tutti i giorni, ci si sente quasi in colpa di dover prendere delle ore a lavoro per poter ragionare in un’ottica strategica.

Il bilancio consapevole ci consente di fare un salto di paradigma e arrivare al paradigma del monitoraggio. Vuol dire quanto i numeri di bilancio possono essere utilizzati per un’analisi a consuntivo; per riscoprire le storicità delle mie attività di consulente finanziario o di imprenditore e poter iniziare ad ancorare una soglia di fiducia che mi permette anche di poter immaginare il futuro.

Il terzo paradigma fondamentale è quello della pianificazione. Una volta che ho consapevolezza della mia storicità e so leggere il bilancio in tempo reale, posso proiettarlo in un orizzonte temporale di breve termine, ad esempio nel bimestre abbiamo trattato lo strumento del budgeting.

Il quarto paradigma è quello di avere un orizzonte temporale ancora più lungo e cioè parliamo del paradigma della strategia.

Il processo strategico semplificato parte da uno strumento umile e semplice come può essere il bilancio per accompagnare il consulente finanziario, l’imprenditore al budget, al business plan, all’analisi del suo business model che personalmente identifico con 5 tasselli che sono:

– la strategia;

– la struttura: che differenzio tra i beni appartenenti alle imprese, le persone appartenenti alle imprese e i processi con cui interagiscono le persone e i beni;

– il terzo tassello è quello dell’implementazione che secondo me è fondamentale ed è una delle lacune imprenditoriali maggiormente riscontrate;

– il quarto tassello è quello del controllo in tempo reale e anche qui capite bene che se io mi aspetto di ricevere il bilancio del commercialista a fine giugno per pagare le imposte siamo già a 6 mesi di ritardo;

– il quinto tassello è quello dell’affinamento, perché se io riesco in tempo reale a valutare i feedback del mercato, quindi partendo dal dipendente che è a contatto con il cliente oppure fermando la mia agenda di consulente finanziario per fare certi ragionamenti ecco che posso affinare alcune scelte strategiche e migliorarle sempre di più.

Il quinto paradigma imprenditoriale è quello della consapevolezza, cioè riuscire a fare il trade union dei primi 4 e riuscire a cogliere pienamente me stesso e le mie predisposizioni per potermi realizzare come individuo anche all’interno della mia professione.

Nella mia logica poter identificare me come persona e come individuo e capire come potermi realizzare nella mia professione mi consente di abbracciare l’incertezza e di appropriarmi di quel senso eroico che c’è nel fare impresa.

La pianificazione (19:00)

Florentino: Non è un caso che stiamo parlando di impresa, se non fosse tale sarebbe una passeggiata sul lungomare piacevole. Le parole hanno anche un loro valore importante. Mi ha colpito il tema della pianificazione ed è un tasto su cui bado parecchio durante la formazione.

Credo che diventi difficile per un consulente finanziario parlare di pianificazione ai clienti se loro stessi per primi non adottano delle logiche di pianificazione, di strategia sulla loro impresa, perché poi diventa una sorta di predicare bene e razzolare male.

I clienti non sono stupidi comprendono subito se una persona realmente crede nello strumento di pianificazione, in quanto come mi capita spesso di raccontare quando chiedo ad un consulente: “Ma tu tra 3 o 5 anni dove ti vedi?”, l’unica risposta che ho è “raddoppiare il portafoglio”, alla fine abbiamo detto tutto e non abbiamo detto nulla.

In realtà, e tu lo hai dimostrato, quando si parla di pianificazione si tratta di andare veramente a fondo. I numeri da questo punto di vista sono veramente in grado di darci una grande mano.

Renne: Indubbiamente sì, a partire dalla consapevolezza della nostra storicità e dall’individuo che sono i due estremi opposti.

Alla domanda del “dove ti vedi da qui a 5 anni”, io ti posso dare una risposta solida solo su chi sono io e che consente di capire il perché faccio queste attività e cosa voglio generare da questo tipo di attività.

Quindi riesco ad identificare degli obiettivi di lungo termine che non siano numerici, perché se io vado a fare una pianificazione a livello ad esempio di business plan, quindi sono già nei numeri, la consapevolezza storica mi ha consentito di capire che io posso andare a scrivere i numeri alla sinistra del mio bilancio, quindi impieghi e costi ma tendenzialmente il ripiego delle fonti o il ripiego dei ricavi li posso solo influenzare.

Questo è già un cambiamento di approccio perché voglio dire che devo entrare nella logica dimensionale della custom satisfaction che non è solo un termine anglosassone ma è la differenza tra il fallimento e il successo di un’attività imprenditoriale.

Solo soddisfacendo le esigenze dei miei clienti, io riesco a fidelizzare i miei clienti, riesco a farmi percepire differente, riesco a mantenere nel tempo una penetrazione nel mio mercato di riferimento che è di tipo fisiologico.

Se io riesco quindi ad arrivare al paradigma della consapevolezza posso dirti ad esempio che io come commercialista ho stravolto completamente il mio business model perché ho capito che ero differente, volevo erogare un certo tipo di valore aggiunto al mio cliente, la stessa cosa vale per il consulente finanziario.

La materia della consulenza finanziaria è enorme a maggior ragione se deve fare il salto in consulenza patrimoniale e quindi occorre anche sapere perché e dove si vuole andare a parare, altrimenti rischio di non riuscire a fare strategia.

La strategia è a mio modo di vedere il primo tassello del mio business model, quindi devo capire anche quella che è la mia struttura, se ho dei dipendenti o uno staff, se ho della tecnologia, se ho dei beni come l’autovettura, anche ad esempio solo la scelta dell’autovettura rischia di avere delle percezioni psicologiche nel mio cliente differenti: se arrivo con il Porsche Cayenne o con la super mega macchina, qualche tipologia di cliente potrebbe non accettarlo bene o al contrario apprezzarlo, stessa cosa se io ci vado con una Fiat Punto, non c’è un giusto e uno sbagliato.

Se io mi ancoro su me stesso so che la mia scelta prescinde da questi ragionamenti, se io mi fermo, mi limito a fare una strategia lato numerico rischio di pensare che posso scrivere un numero fra i ricavi senza pormi il problema di come raggiungerli.

Oltre al discorso beni e staff, c’è il discorso implementazione, io devo essere bravo in quanto solopreneur a ritagliarmi nella mia agenda, il tempo per erogare il servizio, il tempo per trovare nuovi clienti, il tempo per guardare i miei numeri di bilancio, il tempo per ragionare in termini di visione e strategia e il tempo per integrare tutte queste sfaccettature per creare un business model credibile e perseguibile nella quotidianità operativa della mia attività.

Florentino: Perché secondo te i consulenti finanziari fanno fatica a fare strategia, fanno fatica a pianificare? Io mi sono dato una risposta, però vorrei avere anche da te un’opinione perché tu collabori moltissimo con i consulenti finanziari. Molto spesso ho la sensazione che anche nel momento in cui dovessi cominciare a pianificare, a pormi degli obiettivi ecc… il fatto di scriverli nero su bianco implica il fatto di prendersi una importante responsabilità nei confronti di sé stessi, della propria impresa e di tutti i portatori di interesse che ci sono intorno all’impresa.

Molto spesso le scelte che magari ci possono portare a raggiungere certi livelli implicano anche il coinvolgimento di altre persone. Il fatto di bastarsi da soli, tutto sommato dà sempre l’idea che: “Ma sì, in fondo siccome devo bastare solo a me stesso, se anche qualche volta sgarro o non sono disciplinato, tutto sommato nessuno se ne accorgerà.”

Diverso è quando incominciamo ad inserire all’interno dell’organizzazione aziendale, anche di un consulente finanziario, delle assistenti. Oggi si fa un gran parlare di team cioè la possibilità di coinvolgere anche altri consulenti, cambiano un po’ le dinamiche, cambiano un po’ le opportunità.

Da questo punto di vista allora non è che per caso alla fine la capacità di raggiungere i risultati è correlata alla capacità di assumersi delle responsabilità? Churchill diceva: “il prezzo della grandezza è assumersi grandi responsabilità.”

Renne: Potremmo parlarne per ore, tu hai citato Churchill, io ti cito Spiderman: “Da un grande potere deriva una grande responsabilità.” Il consulente ha un grande potere perché va a migliorare la vita di sé stesso, della propria famiglia, dei propri dipendenti, dei propri clienti e fornitori e di tutto il contesto di riferimento, quindi il potere è veramente enorme e se ce ne riaccaparriamo e lo percepiamo nella sua importanza automaticamente emerge il senso di responsabilità.

La responsabilità fa rima con proattività, Viktor Frankl che è uno psichiatra ebreo deportato nei campi nazisti ha ideato questa terminologia. Proattività vuol dire andare a ricercare tra lo stimolo esterno e la mia azione il mio senso di realizzazione personale.

Perché il consulente finanziario non è abituato? Sono crudo, spero di non attirarmi le ire dei tuoi ascoltatori. Tendenzialmente il mondo finanziario è stato coccolato da rendimenti, da provvigioni, è stato sempre un oceano blu perché aveva una redditività che era decisamente sopra la media di altri settori.

Tutto quello di cui noi trattiamo quando parliamo di strategia imprenditoriale e strategia per il consulente finanziario attiene ad una dinamica ancora più alta che è quella del cambiamento in età adulta.

A me piace sempre fare quelle correlazioni tra crescita individuale e crescita imprenditoriale, perché tendenzialmente come ogni essere vivente noi percepiamo un principio che è quello dell’omeostasi cioè per sopravvivere la nostra psicologia fa sì che trovato un equilibrio comportamentale tendiamo a replicarlo continuamente, senza accorgerci che talvolta rischia di diventare disfunzionale; i biologici ci dicono che per sopravvivere non dobbiamo essere vincenti in modo rigido ma dobbiamo accogliere all’interno dell’omeostasi un minimo livello sopportabile di entropia cioè di cambiamento, flessibilità, in modo tale da riuscire ad evolverci continuativamente.

Se noi abbiamo una redditività che ci soddisfa e pensiamo di essere bravi a fare il nostro lavoro e che questa redditività continuerà nell’eterno, abbiamo zero stimoli per un cambiamento in età adulta.

Oggi le cose non sono più così perché si parla non solo di Mifid2 ma anche dell’impatto che avrà la nuova tecnologia: il machine learning, l’artificial intelligence e via discorrendo. Tutte queste variabili esterne andranno sì ad impattare sulla mia attività e sulla profittabilità della mia attività, quindi probabilmente inizierò ad avere degli stimoli esterni per cambiare.

Quando il cambiamento arriva dall’esterno io ho due modalità con cui approcciare: il metodo struzzo e il metodo giraffa. Sono due animali che hanno il collo lungo uno lo utilizza per nascondere la testa sotto la complessità e uno lo utilizza per guardare oltre l’orizzonte e poter cogliere le opportunità.

Il processo strategico facilitato consente di abbracciare questa seconda metodologia di approccio, quella della giraffa.

Quindi forse oggi è il momento in cui finalmente il consulente finanziario inizia ad essere costretto magari ad affrontare il concetto di strategia di sé stesso e quindi anche della sua consulenza e starà a lui coglierne le opportunità per non pagarne poi nel giro di 2 o 3 anni le conseguenze.

Florentino: Se c’è la capacità di inserire nella nostra quotidianità il cambiamento che per altro è una delle condizioni più certe che ci sono nella vita di ciascun essere umano, alla fine credo che le opportunità saranno molto più grandi di quanto non possano essere le minacce, in questo caso che una parte del settore sta vedendo e che sta cercando di osteggiare o ritardarne gli effetti.

A mio modo di vedere è come quando eravamo a scuola, mancavano 10 minuti alla fine della lezione e si cercava di intrattenere il professore con una serie di domande piuttosto che lui cominciasse ad interrogare, non sapendo che si rinviava di 1 giorno quello che comunque sarebbe accaduto, perché il professore comunque doveva interrogare.

Renne: Verissimo e faccio due considerazioni. Cambiamento: cambiamento è una parola motivazionale che genera però anche paura, resistenza al cambiamento. Mio padre mi regalò un vecchio libro di Jung in cui nelle prime pagine rimasi folgorato perché secondo Jung il nostro scopo nella vita è quello di curiosare, acquisire nuove informazioni, viverle, approfondirle per poi integrarle con tutto il nostro bagaglio culturale e trasformarle a nostra immagine e somiglianza per poi divulgarle al bene sistemico.

Questo processo logico ci consente di mantenere un livello di entropia, perché ci fa capire che in realtà noi siamo all’interno dello spazio tempo proprio per evolverci e raggiungere il nostro pieno potenziale.

Il cambiamento non è altro che la possibilità di migliorarci continuamente.

Diventa pauroso nel momento in cui il cambiamento viene imposto dall’esterno ma nel momento in cui noi abbiamo fiducia nel cambiamento, l’abbiamo controllato noi e perseguito noi stessi per la nostra autorealizzazione, anche il cambiamento che ci viene imposto dall’esterno ha una diversa modalità ma il fine è unico.

Sopravvive non la specie più forte ma quella che ha maggiore capacità di adattamento e anche all’interno delle categorie professionali succede così, non pensino i consulenti finanziari di essere gli unici a dover vivere una sfida.

La mia categoria che è quella dei commercialisti a partire dall’informatizzazione dei dichiarativi sta vivendo una sfida continua. Sta a noi riuscire a smuoverci da quello che gli americani chiamano freezing per iniziare ad agire. Magari agendo in modo proattivo, non reagendo in modo istintivo.

Florentino: Per uscire dal tema del freezing, molto importante è lo sviluppo delle competenze. Competenze che permettono di passare ad un livello superiore. Colgo l’opportunità che mi hai offerto adesso parlando della tua categoria. Di quanto per esempio la fattura elettronica se da un lato semplifica in maniera straordinaria quella che era diventata una complessità incredibile per voi, di dover sollecitare gli imprenditori a portarvi la contabilità, oggi la contabilità è nel cassetto fiscale, voi accedete ed immediatamente riuscite ad avere una contabilità aggiornata che per l’imprenditore è qualcosa di straordinario.

D’altro lato ha fortemente depotenziato il valore percepito dei dottori commercialisti, perché se prima c’era del valore nel raccogliere tutte queste “carte” per riordinarle a livello contabile, oggi questo ha portato ai dottori commercialisti a non avere più margini. Un poco come quando il costo del bonifico è passato dai 5 euro di una volta praticamente a zero. I 5 euro prima magari giustificavano che c’erano almeno 3 o 4 persone che materialmente dovevano essere pagate per fare queste cose. Questo sta portando da un lato alla morte professionale di quel commercialista che aveva puntato solo ed esclusivamente a quella cosa lì, ma in realtà sta permettendo ai commercialisti di lavorare su altre logiche come il controllo di gestione.

La fattura elettronica per voi corrisponde a quella che l’asset allocation per il consulente finanziario, ormai è una macchina che la fa, a basso costo con una maggiore efficienza.

Quanto conta lo sviluppo delle competenze di tipo patrimoniale dal tuo punto di vista per il consulente nel futuro?

Renne: Conta tantissimo prima citavo Jung e ti fa capire che la ricerca di quelle informazioni che portano al miglioramento personale debba avvenire per forza di cose con una visione trasversale perché sia la fatturazione elettronica, che la road advisor, che l’asset allocation informatizzata non partono dal contesto finanziario dei commercialisti, partono dalla tecnologia o dall’informatizzazione.

Io dovrò essere bravo a vivere il momento cogliendo tutte le trasversalità. Quando Michael Porter parlava di vantaggio competitivo, tendenzialmente all’epoca un vantaggio competitivo durava decenni. Oggi con la velocità generata dalla dinamica informativa di internet quel vantaggio competitivo se va bene dura un anno.

Stravolgimenti di questo tipo, fatturazione elettronica e asset allocation automatica tendenzialmente sono dirompenti per i nostri modelli di business.

Spezzo una lancia a favore della mia categoria, alcune scelte che hanno fatto per focalizzarsi su fiscalità e contabilità e basta, è stato un soddisfare l’esigenza del cliente perché tutta la normativa fiscale sta diventando devastante, le scadenze generano frustrazione non solo nell’imprenditore ma soprattutto negli studi professionali.

Io personalmente mi sono disancorato perché non reggevo più quel tipo di frustrazione quindi non volevo più avere a che fare con le scadenze dichiarative. La parte fiscale la adoro perché consente di fare pianificazione fiscale ma siamo ad un livello strategico, non siamo ad un livello operativo.

Nel 2005 ho focalizzato che il nostro settore stava andando a dicotomizzarsi come adesso la consulenza finanziaria. Da un lato i grandi volumi standardizzati e gestiti con la tecnologia, dall’altro la nicchia di mercato che può essere sostenibile solo con le competenze. Soprattutto con le competenze trasversali e non solo trasversali in ambito tecnico ma anche trasversali in ambito di soft skills.

La consulenza finanziaria avrà a sua volta diverse fasce di clientela. Dall’entry level che è volume, il piccolo, che per assurdo a livello di utilità avrebbe bisogno della miglior consulenza possibile, perché per lui perdere quei 30.000€ di risparmi di una vita significa veramente fare la differenza.

Poi abbiamo un medium che si distingue in un medium senza impresa e in un medium con imprese.

Infine abbiamo il grande dirigente d’azienda ma in questo momento sta facendo investimenti in start-up quindi a sua volta è imprenditore.

La consulenza patrimoniale la stiamo vivendo in Italia come trasformazione, perché quando io feci l’ècole de management di Lione nel 1995, il consulente finanziario era già un consulente patrimoniale, anche il singolo perché c’era tutta la storicità dei family office, dei multi family office, quindi il consulente finanziario come consulente patrimoniale e poi c’era la parte di volumi che era solo consulenza finanziaria.

Oggi l’Italia si sta trovando nella stessa situazione, oggi il cliente è sempre più evoluto e ha degli stereotipi di ragionamenti. Prima dicevamo che ci eravamo abituati ad una marginalità molto alta nella consulenza finanziaria, però questa marginalità era dovuta anche al fatto che l’imprenditore chiedeva il rendimento.

Le collaborazioni (42:40)

Florentino: Sempre di più c’è l’esigenza da parte delle categorie, se vogliono generare del valore per la clientela, per il mercato e soprattutto perché il mercato possa percepire il valore. C’è sempre di più la necessità di creare delle sinergie e delle collaborazioni.

In più momenti nella storia della consulenza finanziaria ci sono stati dei tentativi di collaborazione nello specifico tra la vostra categoria e la categoria dei consulenti finanziari, purtroppo sono sempre stati episodi sporadici legati alle virtù dei singoli più che in realtà qualcosa di strutturale.

Premesso che io credo che di solito è giusto cominciare a collaborare e poi fare in modo che il mercato si accorga che collaborazioni fattive esistono a quel punto certi business model possono prosperare e possono crescere.

Dal tuo punto di vista da commercialista, quali sono i temi su cui di fatto c’è possibilità di collaborare e non di competere?

L’altra domanda che ti faccio è su come collaborare. Tu stai già collaborando oggi con dei consulenti finanziari quindi come è possibile collaborare insieme e fare in modo che 1+1 non faccia 2 ma possa fare anche di più?

Renne: La prima risposta in realtà deriva da un cambiamento di approccio, passare dalla scarsity mentality all’abbondance mentality. Più io sono ancorato su chi so di essere e perché faccio quello che faccio, più posso non aver paura né del mio collega concorrente né del professionista che ha un’altra verticalità perché so benissimo che so conquistarmi i clienti.

Il commercialista può fare degli studi professionali con altri professionisti come ad esempio gli avvocati, adesso ci sono le società tra professionisti e via discorrendo. Ci fu una grossa bagarre quando venne proposto l’emendamento della mia categoria a poter passare l’esame di stato da consulente finanziario “facilitato”, non mi dilungo ma lo scopo del legislatore era quello di creare un trade union tra le due figure.

Anche io credo in un approccio fattivo-operativo. Per farlo occorre appunto abbracciare la mentalità dell’abbondanza, quindi non avere paure o timori e basare l’interazione su uno spontaneo riconoscimento reciproco di stima qualitativa per la persona e per la professionalità tecnica.

Senza ristorni di alcun tipo a livello di fatture per segnalazioni clienti o per altre tipologie, perché se il cliente lo dovesse scoprire sei già in conflitto di interessi e ti giudica male a prescindere ma semplicemente perché c’è fiducia reciproca e si sa che si può lavorare insieme.

Le tematiche sono quelle che in questo momento sono utilizzate maggiormente da un punto di vista commerciale di marketing da parte dei consulenti finanziari che sono la pianificazione strategica del passaggio successorio e la gestione del passaggio generazionale d’impresa.

Io le tengo sempre separate, ogni tanto si fa confusione tra passaggio successorio e generazionale, sono complementari ma una è succube dell’altra. Non possiamo affrontare o scrivere libri o fare eventi sul passaggio generazionale dimenticandoci che il passaggio generazionale è un di cui del passaggio successorio, perché se no non potremmo prendere in considerazione tutte le quote di legittima e tutta la normativa di diritti e doveri che ne discendono.

Queste due tematiche sono terreno fertile per queste collaborazioni ma ad una sola condizione che sarà poi oggetto dell’aula di domani, che innanzitutto ci voglia un approccio trasversale: giuridico, finanziario, fiscale.

Solo con un approccio trasversale si possa fare una preventiva diagnosi per poi stabilire la cura e non ci si trasformi in venditori di prodotti finanziari o giuridici come se fossero la panacea di tutti i mali.

Ogni singolo strumento ha dei pro e dei contro in sé e deve essere adattato al caso specifico.

Se noi andassimo a proporre il trust ad una famiglia imprenditoriale prima ancora di aver capito quali sono le complessità proprietarie, gestorie ed allocative del patrimonio di quella famiglia rischieremmo di fare un autogol; il cliente si porrebbe il problema del perché gli stiamo proponendo una soluzione senza conoscere il problema, secondariamente non saremmo percepiti come credibili in quanto avremmo scelto una scorciatoia che so che anche tu detesti, senza lavorare prima sull’acquisizione di competenze ed il nostro cliente inizia a percepirlo.

Se noi parliamo di qualcosa che non abbiamo vissuto e non sappiamo come realizzare, questo in un’ottica di sistema. Come approccio la collaborazione con il consulente finanziario? Innanzitutto il consulente finanziario mi chiama per andare da alcuni suoi clienti, io faccio formazione in materie tecniche per i consulenti finanziari lato banche e lato reti, che sono:

– la fiscalità della finanza domestica, quindi italiana, internazionale, lato privato;

– la fiscalità della finanza d’impresa;

– la pianificazione strategica del passaggio successorio.

Avendomi conosciuto operativamente nell’ambito formativo qualche consulente finanziario per alcuni clienti particolari mi ha chiesto la disponibilità di andare a degli incontri in duo, per offrire quel valore aggiunto che lui ha percepito nell’aula formativa.

Il mio approccio è quello di andare con un consulente finanziario per analizzare a 360° lato famiglia e lato patrimonio.

I messaggi che vengono dati sono ad ognuno la propria verticalità ma se riusciamo a dialogare tra noi professionisti nell’esclusivo interesse dell’esigenza del cliente ecco che si crea un clima collaborativo clienti-professionisti ma anche fra i vari professionisti che è di fondamentale importanza.

Immaginate che su queste tematiche io vado ad approcciare anche il consulente commercialista storico della famiglia e non rischio mai di andare in sovrapposizione a lui, perché io sono specializzato in alcune tematiche ma non perché ho visto del business in quelle tematiche ma perché mi piace affrontarle, capisco che sono portatore di valore aggiunto del mio cliente e quindi automaticamente non vado a cannibalizzare il mio collega perché abbiamo due verticalità diverse anche se ci chiamiamo entrambi commercialisti.

Come si esce in team? Tendenzialmente si fa un trittico di appuntamenti entry level, il primo per parlare di queste tematiche che hanno delle criticità tecniche ma anche delle criticità emotivo relazionali che sono le più importanti da poter gestire.

Un secondo appuntamento entry level avendo raccolto tutta la documentazione necessaria e dare una prima informativa di massima per far toccare alla famiglia con mano quelle che sono le loro criticità specifiche.

Il terzo appuntamento entry level per capire o eventualmente progettare un percorso.

Tutti e 3 gli appuntamenti entry level sono a chiamata quindi tendenzialmente la cifra è veramente irrisoria e il cliente richiama per il secondo e terzo appuntamento solo se percepisce il valore.

Una volta progettato il percorso per soddisfare la pianificazione del passaggio generazionale di un’impresa o la pianificazione del passaggio generazionale di un intero patrimonio, qua entriamo in una progettualità di percorso di medio termine, vuol dire un incontro al mese in loco a cui chiedo sempre di partecipare al consulente finanziario che mi ha fatto sedere al tavolo perché quando tratto del patrimonio del cliente dico sempre che l’unità patrimoniale finanza tendenzialmente non viene affidata ad un unico gestore.

Questo è un problema, almeno la visione di insieme di tutto il comparto finanziario ad un unico referente deve essere data per cogliere tutti i benefici della differenziazione dell’asset allocation, evitare che vi siano repliche della composizione portafoglio detenute in varie reti piuttosto che dalla banca.

Anche da questo punto di vista quindi creo una sinergia con il consulente finanziario perché lui non acquisisce subito le masse che sarebbe una scorciatoia ma acquisisce la fiducia del suo cliente, perché gli viene data una visione di insieme, perché può dare quelle informazioni giuste e corrette per far capire come i colleghi possono ottimizzare i vari portafogli.

Ovviamente non bisogna farsi vedere in conflitto di interessi, quindi denigrare a spada tratta il nostro alter-ego, consulente finanziario, per accaparrarmi le masse, anche in questo caso il cliente se ne accorge.

Mifid2 può essere sfruttata sì ma comunque non in modo aggressivo.

Anche al consulente finanziario è richiesto di partecipare alla giornata dedicando il suo tempo a quella famiglia imprenditoriale, quindi anche il consulente finanziario capisce che ci vuole una revisione del business model per capire come allocare in modo proficuo le proprie ore lavoro.

Vi garantisco che questo percorso crea un clima di fiducia e soprattutto per il consulente finanziario di evitare l’errore di fidelizzare solo il disponente, perché è vero che se dialoghiamo anche con il consorte o con i figli abbiamo più teste a cui pensare però altrimenti rischiamo di creare un perfetto passaggio successorio, poi passano le masse agli eredi che però sono stati già fidelizzati da altri consulenti finanziari, quindi abbiamo servito sul piatto d’argento magari dedicandoci delle ore all’accrescimento di masse per qualcun altro.

La collaborazione deve essere fatta veramente basandola sulla stima professionale, individuale reciproca.

Il libro (55:30)

Florentino: Come è nato il tuo libro?

Renne: Da una mia acquisizione di responsabilità, nel senso che io faccio formazione oramai dal 2003 e penso di essere abbastanza bravo nel senso che riesco a trasferire dei concetti complicati in modo abbastanza semplice per renderli riscontrabili nella vita operativa quotidiana.

Questo mio poter essere origine di valore aggiunto per il sistema, mi ha fatto intraprendere un percorso di divulgazione che prima è stata la creazione del gruppo su Facebook, che è un gruppo chiuso sì ma è totalmente gratuito basta chiedere l’iscrizione.

Ho fatto un gruppo chiuso perché avendo saputo degli algoritmi di Facebook so che devo andare per vicinanza, quindi se creo un gruppo automaticamente tutte le informazioni del gruppo sono evidenti e riscontrabili per i partecipanti.

Se avessi utilizzato il profilo personale verrebbero diluiti e si tiene nota solo di 25 contatti personali per cui non avrei avuto la stessa capacità divulgativa.

Il gruppo si chiama CPF che è l’acronimo di cui ne avete sempre sentito parlare, CPF vuol dire consapevolezza, patrimonio e famiglie e lo trovate al seguente link https://facebook.com/groups/cpef.consapevolezzapatrimoniefamiglie.

Ho affiancato anche un blog e un canale YouTube per creare un canale esterno.

Il libro è nato per focalizzarmi sulla categoria di clienti che seguo maggiormente, la famiglia imprenditoriale e ha l’arrogante scopo di cercare di dare una infarinatura a 360°, proprio per riappropriarsi di quel senso eroico di fare impresa.

Eroico in una duplice veste, sia perché nel fare impresa genero benessere nel lungo periodo sia perché con il fare impresa posso autorealizzarmi dal punto di vista personale.

Riaccaparrarmi della veste eroica del fare impresa mi consente di godere di questi benefici.

Vuol dire affrontare i principi di imprenditorialità, affrontare i concetti di strategia, di business model, di implementazione, per offrire alla famiglia imprenditoriale e/o al consulente finanziario stesso in quanto imprenditore di sé stesso, tutti quegli spunti di riflessione in grado di potergli consentire tutti quei minimi cambiamenti possibili per instaurare quell’entropia continuativa che l’accompagna al miglioramento continuo.

Troverete un libro che ha un’immagine di copertina a me molto cara che è stata disegnata da un mio carissimo amico ex compagno di judo e ogni singolo dettaglio per me ha un riferimento molto importante, quindi molto stilizzato. La logica è sempre quella di divulgare concetti complicati in modo molto semplice.

Qualcuno può definirlo buonsenso, in realtà se tutti vivessimo quotidianamente il buonsenso saremmo tutti perfetti ma la perfezione in questo mondo l’ha avuta sola una persona ed è stata crocifissa per questo.

Quindi probabilmente dobbiamo riuscire a trovare il modo giusto per ancorare la nostra vita a quel famoso buonsenso.

 

Se hai un Iphone o sistema IOS clicca qui:

Se hai Android, Windows Phone clicca qui:

spreaker

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *